LAURA LANZA, LA CONDIVISIONE DI UN GRANDE MEDICO
Intervista alla Dott.Ssa recentemente con la benemerenza ''Donne che ce l'hanno fatta'' per il sio costante impegno nella condivisione sia in ambito professionale che nel mondo del volontariato. Una donna amatissima e stimata da colleghi e dai più giovani, capace di guidare gruppi importanti a livello nazionale.
''Dott.Ssa Lanza, una vita dedicata alla medicina, alla ricerca ed alla condivisione. La sua figura, stimata da colleghi e in più realtà, è l'esempio della coniugazione e fra colleghi e specialisti. Oggi il mondo del lavoro, in ogni campo, sembra trovare un freno su questa tematica del ''condividere''. Come mai secondo lei?''
- ''Sono medico dal 1990 e questo ho sempre sognato di fare fin da quando, bambina, dall'età di 5 anni facevo le "punture alle bambole". Nessuno nella mia famiglia faceva parte dell'ambito sanitario ma questo a me non importava e, pur trattandosi di una professione ancora prettamente maschile, ho voluto provarci.
In famiglia mi è sempre stato insegnato un senso molto pratico della vita e forse per questo ho scelto subito una specialità chirurgica che mi consentisse di verificare immediatamente la "rimozione della malattia". Le specialità chirurgiche, in particolare, per ottenere i risultati migliori, necessitano di un forte lavoro di squadra dove la tematica del condividere è un concetto basilare e questo è stato un insegnamento importante che ho trasportato anche al di fuori del mio ambito otorinolaringoiatrico, in tutti i ruoli che ho rivestito nell'ambito della professione medica a 360° ed anche poi nella mia vita privata.
Oggi, per quanto riguarda l'attività professionale, si sentono spesso definire le persone come svogliate, ingrate, senza bisogno di mettersi alla prova e non impegnate a raggiungere alti standard lavorativi; in realtà anche i nuovi professionisti penso abbiano voglia e necessità di trovare un lavoro, ma è la mentalità ad essere cambiata notevolmente. Le nuove generazioni hanno idee molto chiare e vogliono lavorare in aziende dove sia prevista la conciliazione casa-lavoro e dove l'ambiente sia piacevole, ovvero desiderano una professione utile alle proprie necessità, ma che allo stesso tempo non comporti di concentrarsi solo su di essa con l'effetto di trascurare gli aspetti della propria vita personale, in quanto il mondo è sempre stato percepito come qualcosa di precario. Risulta ovvio che in questo caso l'approccio è completamente diverso rispetto a chi ha sempre messo la propria carriera davanti a tutto il resto: c'è da dire che ancora oggi la maggioranza della dirigenza aziendale appartiene a quella generazione portata per il sacrificio dove il lavoro aveva la funzione di mantenersi ed allo stesso tempo di fare carriera con la prospettiva che più ci si sacrifica e più si ottiene.
Dunque prima si viveva con un'idea di carriera sul posto di lavoro e una prospettiva di pensionamento definita, ora gli stages spesso sono poco retribuiti, il pensionamento è visto come un'utopia e le prospettive di carriera sono completamente diverse, per cui la volontà di poter scegliere un'azienda che ci rappresenti a livello di valori e che non imponga un attaccamento viscerale è la nuova necessità. E' necessario quindi che la dirigenza attuale capisca l'importanza e la necessità di avere giovani talenti all'interno della propria organizzazione e si impegni affinché la loro esperienza lavorativa sia il più possibile affine alle loro esigenze e si crei un ambiente che li rispecchi. Una cosa è certa: il mondo sta cambiando e anche le dinamiche e il modo di approcciarsi alla carriera. I talenti di oggi vogliono un impiego che offra flessibilità, benessere, senso di comunità e opportunità di crescita. Le aziende che vogliono restare competitive devono adattarsi a questa nuova realtà, adottando strumenti innovativi per la gestione del personale.
Come dicevo all'inizio, la condivisione in un gruppo è fondamentale per ottenere i migliori risultati e per creare una qualità di vita migliore possibile ma la condivisione appunto, viene oggi sottovalutata dai giovani, considerandola quasi scontata e non pensando di prenderla in considerazione come una competenza che invece deve essere costantemente allenata. Infatti si può essere un gruppo, ma questo non è sufficiente per avere una squadra che lavora bene insieme, perché la vera differenza è data dal modo in cui si sta insieme, condividendo gli impegni e aiutandosi, cercando di attuare una comunicazione positiva ed efficace tra colleghi, e con i superiori.''
''Anche il territorio per lei è sempre stato ed è importante. A Voghera e Vigevano ricopre la figura quale primario di otorinolaringoiatria. È più difficile unire persone o realtà territoriali e di struttura?''
- ''Come dice bene Lei, per me, da ospedaliera, il territorio è sempre stato molto importante poiché credo che la vicinanza ai medici di medicina generale e direttamente alla popolazione sia fondamentale: oggi l'informazione e la trasmissione della cultura medica specialistica oltreché il far sentire la vicinanza dell'ospedale al territorio sono molto apprezzati sia dai colleghi che dall'utenza perché ci dà modo di creare una sorta di fiducia nei medici ospedalieri della provincia, che quotidianamente lavorano in trincea cercando di fronteggiare al meglio tutte le problematiche che giungono in osservazione. Per quanto riguarda la sottoscritta, sicuramente in qualità di Direttore di struttura, di Consigliere dell'Ordine Provinciale dei Medici Chirurghi e di Presidente della Sezione Provinciale di Pavia dell'Associazione Italiana Donne Medico per molti anni, sono stata sicuramente molto avvantaggiata nella possibilità di fare formazione o organizzare convegni, seminari o incontri rivolti sia ai colleghi che alla popolazione anche se spesso è davvero molto difficile unire persone o strutture di differente estrazione professionale allo scopo di fare rete, altra realtà attuale dalla quale non possiamo prescindere per portare avanti al meglio la professione.
L'invecchiamento della popolazione, l'aumento delle cronicità e dell'aspettativa di vita sono infatti solo alcuni dei fattori di cambiamento più importanti con cui il nostro sistema sanitario si sta confrontando. Non dimentichiamo che in Lombardia gli assistiti cronici rappresentano oltre il 30% della popolazione ed impegnano circa il 70% delle risorse sanitarie.
Questa situazione fa intravedere la necessità di attivare servizi di cure intermedie per la gestione delle fasi di transizione tra la malattia acuta e cronica, con l'obiettivo di garantire la continuità di cura tra servizi ospedalieri e territoriali e viceversa e ridurre il ricorso non appropriato ai servizi sanitari. Le malattie croniche degenerative invalidanti oggi determinano la condizione che può mettere a rischio la sostenibilità economica e organizzativa del sistema sanitario nazionale. Lo vediamo laddove troviamo logiche "ospedalocentriche" adatte a rispondere alla malattia acuta ma spesso inadeguate a garantire la "presa in cura" dell'assistito affetto da malattie croniche e invalidanti che spesso è un anziano fragile pluripatologico.
Per fortuna si è cominciato a capire come fosse importante ridurre l'ospedalizzazione ovviamente non nell'ottica di ridurre le risposte necessarie in termini di cura agli assistiti ma di spostare risorse verso medicina e servizi territoriali anche se si è ancora in fase iniziale ma è evidente la necessità di potenziare continuità assistenziale e dimissioni protette per rispondere adeguatamente ai bisogni degli assistiti e delle famiglie, e per ridurre il fenomeno ricorrente dei ricoveri ripetuti e degli accessi al pronto soccorso. Con la pandemia ci si è resi conto che non si può contare solo sull'ospedale ma occorre creare nel territorio una medicina territoriale di riferimento affidabile e presente.
Continuità assistenziale, dimissioni protette, medicina territoriale, assistenza domiciliare, residenze sanitarie assistenziali, case della salute, ospedali di comunità, medici di medicina generale, infermieri di comunità, telemedicina sono concetti che devono diventare realtà nel nostro sistema sanitario.
L'obiettivo comune deve essere quello di rendere meno rigida la distinzione tra ospedale e territorio creando team multidisciplinari che si confrontano e integrano. Per rendere attiva la collaborazione tra specialisti ospedalieri e medici territoriali sono essenziali sistemi di collegamento informatici e digitali che funzionino. La rete inoltre deve comprendere anche cure intermedie e cure palliative che devono essere a disposizione dei medici di medicina generale per la gestione degli assistiti senza dover transitare dal ricovero ospedaliero, non dimenticando l'infermiere di famiglia, che si affianca al medico nella presa in carico. Questa è la vera sfida del futuro della nostra sanità soprattutto con una formazione universitaria che metta gli specialisti ospedalieri in grado di relazionarsi con le caratteristiche della rete territoriale.
In conclusione, unire persone è difficile ma creando una buona squadra è possibile, unire realtà territoriali o di struttura è ancora una grossa sfida ma sono fiduciosa che con tanto impegno e soprattutto le competenze adeguate potremo presto arrivare a farlo.''
''Recentemente presso l'Università degli Studi di Pavia ha ricevuto dagli Stati Generali delle Donne la benemerenza ''Donne che ce l'hanno fatta''. Come vede la figura della donna nel mondo del lavoro, nel mondo medico oggi rispetto a quando lei ha iniziato la sua carriera?''
-''Ho cominciato la mia carriera presso la Clinica Otorinolaringoiatrica del Policlinico San Matteo di Pavia dove ero praticamente sola, in un mondo di uomini. Scegliere la specializzazione in Otorinolaringoiatria nel 1991 fu per me "normale" ed anche la mia famiglia non fece molti tentativi di dissuasione da una scelta che probabilmente non mi avrebbe consentito di avere una vita privata soddisfacente, ben sapendo che non avrei cambiato idea. Ho affrontato quotidianamente sacrifici molteplici, aumentati ancor più quando ho iniziato a ricoprire il ruolo di Direttore di Struttura Ospedaliera: in Italia eravamo pochissime in Otorinolaringoiatria ed ancora oggi in Lombardia siamo solo 2. Mi sono ritrovata dover fare i conti con la burocrazia e con le strategie di spesa sanitaria, ad organizzare i turni di lavoro e soprattutto a rispondere alle necessità e ai quesiti dei pazienti che dovevano entrare in sala operatoria. Ho portato avanti anche le esigenze della vita privata affinché anche a casa tutto procedesse per il meglio, sacrificando a volte i rapporti con gli amici ed il tempo da dedicare a me stessa, eliminando piccole coccole personali che spesso ho dovuto rimandare. La mia vita senza l'ospedale non sarebbe però stata possibile ed anche se mi è capitato di non essere presente a volte per le persone che ho amato di più, sono sicura che queste hanno ben compreso il mio sentimento di forte dedizione verso una professione complessa ma comunque ricca di soddisfazioni.
Allo stesso modo mi sono ritrovata praticamente sola nel 2006 come prima donna medico Consigliere dell'Ordine della Provincia di Pavia, essendo il resto del Consiglio composto esclusivamente da Colleghi di sesso maschile.
Ma quanti passi sono stati compiuti: la percentuale di donne medico è aumentata nel tempo, dal 29% nel 1990, al 38% nel 2000 e al 46% nel 2015. Il tema della necessità di garantire parità di genere sul posto di lavoro a fronte della presenza sempre più crescente di donne in ambito lavorativo, è diventata molto attuale anche in Italia, compreso il settore medico e bisogna pertanto prendere atto delle profonde trasformazioni avvenute negli ultimi anni.
Purtroppo, secondo i dati più recenti, anche se negli ospedali ormai quasi il 60% dei camici bianchi è rosa, a dirigerli è solo una donna su cinque. Nella fascia d'età compresa tra i 24 e i 59 anni il sorpasso dei maschi è già ampiamente avvenuto: le donne medico sono il 58,3% del totale. La frenata brusca della progressiva femminilizzazione del settore si avverte ancora tra i camici bianchi di età più avanzata nella fascia compresa tra i 60 e i 75 anni.
Oggi paghiamo ancora il prezzo di una impostazione generale che risale agli anni Settanta con una organizzazione che non rispetta la conciliazione casa-lavoro perché la resistenza al cambiamento è forte e soprattutto in ambito pubblico siamo in grave ritardo. Attualmente non ci sono più grossi pregiudizi ma l'importante carico di lavoro scoraggia le donne ad assumere ruoli apicali o ordinistici. Pertanto a fronte di una forte presenza femminile nella sanità pubblica non corrisponde una maggiore rappresentanza di donne nei ruoli apicali: oggi negli ospedali solo il 25% dei direttori di struttura semplice e il 19% di quella complessa sono donne e solo il settore privato presenta invece una situazione generalmente migliore, tranne l'ambito chirurgico sia pubblico che privato che rimane ancora un mondo prettamente maschile.''
''C'è un sogno che ha nel cassetto per il futuro?''
''Ho 62 anni e da sempre, come ho già detto, mi sono dedicata alla professione con dedizione e con grande spirito di sacrificio ottenendo risultati che inizialmente mai avrei immaginato. Attualmente il sogno che mi rimane e che in parte sto già realizzando in mezzo a mille difficoltà è quello di dedicare il maggior tempo possibile alla formazione dei miei collaboratori più giovani: dopo le incredibili difficoltà legate alla pandemia molti collaboratori hanno lasciato il reparto ed ho avuto l'opportunità di ricreare una nuova giovane bellissima squadra. Nella professione medica, ritengo si impari molto dall'esperienza e dall'osservazione dei propri mentori sia per quanto riguarda il lavoro clinico che per quanto riguarda l'approccio e la disponibilità verso i pazienti. Io ho avuto la fortuna di incontrare molti buoni maestri, sia i professori dai quali ho imparato tutto quello che so, ma anche altre figure che ho incontrato nei contesti ospedalieri in cui ho lavorato o con cui mi sono confrontata. ù
Per questo credo sia giunto il momento di trasmettere ai miei giovani collaboratori, insieme ai miei Aiuti più anziani, tutto ciò che conosco riguardo alle nozioni, alla tecnica ed ai comportamenti da tenere con i pazienti mettendomi sempre non davanti a Loro, ma al Loro fianco nel momento del completamento del Loro training chirurgico o nell'aiuto a stabilire un rapporto di qualità con pazienti e familiari: mi creda, confrontarmi con le nuove generazioni mi arricchisce ogni giorno e percepire allo stesso tempo la Loro riconoscenza ed il Loro entusiasmo genera in me una nuova incredibile energia positiva per affrontare gli ultimi anni della professione. Quello del medico non è un lavoro come gli altri: i risvolti positivi sono tanti ma almeno altrettanti sono quelli negativi con la necessità di districarsi tra pratiche burocratiche da smaltire, turni di lavoro estenuanti, responsabilità professionali e consenso informato, contatto con il dolore e esigenze di vita personale. Oggi sono assolutamente convinta che soltanto mettendo l'accento sui cambiamenti generazionali che sono fisiologici si possano formare squadre dove la condivisione, come dicevo all'inizio di questa intervista, sta alla base di tutto''.